Dall’incertezza all’innovazione: il design thinking

Cosa significa innovare? Innovare, per le aziende, è oggi l’unico modo di sopravvivere nel mercato globale. Questo è un concetto assodato e chiaro a tutti, quello che è meno acquisito è che cosa si intende per innovazione e soprattutto su quali basi poggia. Se si parla di esperienza, di bisogni reali e di innovazione allora misurarsi con il Design Thinking diventa quasi inevitabile. Il Design Thinking è un termine che può intimidire e risultare controverso, la cosa più naturale infatti è pensare che sia riservato solo ad un’élite di persone “dotate”. Queste preoccupazioni, questi freni, vanno indubbiamente presi sul serio e il modo per farlo è quello di differenziare il design dal design thinking. Chi sono gli innovatori? La visione popolare, “The Moses myth”, di questo processo creativo sostiene che l'innovazione sia un miracolo che si verifica quando una persona speciale alza le sue mani verso il cielo: la divisione delle acque del Mar Rosso, la nascita dell’IPod, di Facebook o un qualsiasi altro risultato utopico. Il punto focale è lo stesso: l'innovazione è un regalo speciale, qualcosa che la maggior parte di noi semplicemente non ha. Bene, come la maggior parte dei miti questo semplicemente… non è vero! Va chiarita bene una cosa: i progettisti di talento uniscono la sensibilità estetica con una profonda capacità di visualizzazione, competenza etnografica e identificazione del pattern, questo li porta a creare spesso qualcosa di innovativo. Naturalmente questi sono “geni creativi”, nessuno vuole negare che menti veramente straordinarie, come Steve Jobs, esistano, ma la genialità non è l'unico modo per produrre innovazione. E credere al “mito di Mosè” mina la fiducia delle persone, in particolare dei manager, nelle proprie capacità. E allora come riuscire ad essere innovativi? Come sopravvivere senza chiamarsi Gates o Zuckerberg? Spostando il focus dell’innovare dall’output finale, prodotto o servizio che sia, al processo che conduce ad esso. Quando si tratta di promuovere la crescita del business, il talento che interessa non va cercato nel “dono naturale” o negli studi di formazione, si trova con l’approccio sistematico alla soluzione dei problemi. Questo definisce il design thinking e può essere insegnato. Il design thinking è stato citato per la prima volta nella sua accezione attuale di “metodologia di creazione attiva” nei lavori sviluppati fra gli anni ’80 e ’90 dal Professor Rolf Faste in qualità di direttore dello “Stanford Joint Programme in Design” presso l’università statunitense (Stanford). L’adattamento di questa modalità di progettazione al mondo del business si ha nel 1990 ad opera di un collega di Faste a Stanford: il professor David M. Kelley e di Tim Brown di IDEO. E’ un approccio che studia e analizza i problemi per intervenire sui processi che li influenzano rimuovendo gli ostacoli e individuando nuove opportunità di miglioramento. Risoluzione dei problemi: metodo tradizionale vs. Design Thinking Il metodo tradizionale di risoluzione dei problemi spesso adotta una tecnica quasi scientifica, metodica. Viene individuato un problema, definiti i passi da compiere e gli strumenti da utilizzare per raggiungere una soluzione, poi si aderisce al piano e si spera nel risultato desiderato. E’ semplice, ma non sempre flessibile, innovativo o efficace. Cosa succederebbe se il problema identificato non fosse quello corretto? E se i passaggi non portassero alla soluzione giusta? Invece di partire con un problema, il design thinking inizia con l’osservazione e la comprensione di cultura e contesto (quello di cui la gente ha bisogno). Questo approccio esplora le dimensioni strategiche in cui il prodotto si colloca e utilizza strumenti e tecniche che integrano la parte destra del cervello (immaginazione, creatività e intuizione) con la sinistra (logica, analisi e pianificazione). I metodi che aiutano a pensare come un designer includono l’osservazione, le interviste, la creazione di personaggi, le empathy map, gli storyboard, il pensiero associativo, la creazione di prototipi a basso contenuto tecnologico, e l’analisi decisionale. In altre parole, il design diventa un processo trasversale che sfrutta entrambi gli emisferi cerebrali. Il Metodo Nonostante la creatività sia il veicolo principale del design thinking, è necessario prevedere un preciso schema all’interno del quale questa creatività venga stimolata e decifrata. Partendo dall’indagine sui clienti si affronta un percorso suddiviso in diverse fasi. Come attuare questo approccio? Prima di tutto bisogna chiedersi che tipo di problema si sta affrontando: risolvibile (tame) o qualcosa al di fuori del nostro controllo (wicked)? Per i “tame problems”si parte con una chiara definizione del problema, spesso i dati sono abbastanza rilevanti da poter determinarne subito causa ed effetto. In questi casi è possibile adottare con successo processi lineari per trovare una risposta. Purtroppo nessuna di queste condizioni si applica ai “wicked problems”. In questi casi i soggetti coinvolti non sono d'accordo nemmeno sulla definizione del problema, tanto meno sulla soluzione. E’ possibile che la mole di dati sia elevata, ma che non ne sia comunque chiara la rilevanza. La situazione è spesso abbastanza complessa da non rendere possibile il predire causa ed effetto e l'unico modo per verificare la fattibilità è provare! Quali sono i blocchi che ne impediscono la soluzione? Attraverso l’individuazione dei nodi si dipana il processo che porta all’identificazione delle soluzioni, a validare l’efficacia e quindi a fare innovazione.
I 5 principi del Design Thinking David Kelley, che ha fondato sia IDEO che Institute of Design dell'Università di Stanford, ha diviso il processo di pensiero e di progettazione nei seguenti elementi:
1) Essere empatici Ogni problema ha un contesto unico, è quindi necessario osservare, ascoltare e comprendere il proprio pubblico, immergersi nel contesto di riferimento (WHAT IS). 2) Definire Stabilire un punto di vista, definire il problema (IDEO), elaborare quanto acquisito dal proprio pubblico, approfondire, chiarire collegamenti e modelli, capire bene la sfida che si sta affrontando e fare un passo verso la soluzione, ma anche esplorare tutte le situazioni alternative al problema (WHAT IF di Darden School dell’Università di Virginia). 3) Ideare Focus sulle possibili soluzioni. In poche parole vengono raccolte e raffinate le idee (WHAT WOWS), nessuna viene scartata, ma anzi viene incentivata un’elaborazione consistente di soluzioni in maniera condivisa e collaborativa. Già in questa fase le idee emerse più interessanti vengono sottoposte ad un’analisi che ne verifichi la fattibilità e il reale vantaggio competitivo. 4) Prototipare Questo processo contribuisce a chiarire ulteriormente il problema ed eventualmente offre nuovi spunti e/o nuove soluzioni. Le idee, idealmente molteplici, prendono forma attraverso la costruzione di prototipi. L’obiettivo di questa fase è mettere alla prova le idee migliori, permettendo se possibile agli utenti/utilizzatori di visionare i prototipi al fine di richiedere feedback. 5) Testare Si prova l’efficacia delle idee attraverso il feedback delle persone coinvolte. Come per la prima fase, anche in questo caso è necessario osservare e/o ascoltare il pubblico, consentire loro di sperimentare da soli il/i prototipo/i. Osservando questa interazione è possibile rilevare importanti informazioni: quali aspetti del prototipo funzionano e quali no. Prototipazione e Test sono fasi che Jeanne M. Liedtka chiama WHAT WORKS. Qualsiasi fase può essere ripetuta, il processo creativo è un metodo iterativo per prove ed errori: ad ogni fase si valutano i risultati e si decide se e come procedere, in uno schema che ricalca le metodologie proprie del Project Management. Proprio per questo il processo del Design Thinking non è destinato ad essere un lineare processo rigorosamente definito, ma si adatta alle esigenze specifiche dei singoli ambienti e progetti.
Si può fare innovazione senza design thinking? Certamente, ma rischiamo di perdere per strada alcuni tra gli indirizzi chiave dei processi di progettazione più innovativi: • User centered - un approccio e un processo centrato sull’utente che inizia con la ricerca sulle persone, crea artefatti sulla base delle esigenze di queste ultime, che poi testa con utenti reali. • Co-creativo - un metodo che sfrutta l’esperienza collettiva e stabilisce un linguaggio condiviso con il tema e con i committenti. • Sistemico - un sistema dove ogni punto di contatto è coordinato e in sintonia con la strategia. • Fatto di evidenze - Tutti gli elementi sviluppati, grazie anche alla loro tangibilità risultano efficaci, desiderabili e coerenti. • Olistico - La combinazione di differenti discipline e tecnologie permette di raggiungere l’obiettivo del successo attraverso il miglioramento della “customers experience”. In breve il design thinking permette un andamento più fluido e controllato da parte del cliente, risulta quindi essere un metodo di lavoro efficace per il problem solving e la generazione di idee innovative. Per imparare Virtual crash course in Design Thinking Per approfondire The Art of Innovation, by Tom Kelley Change by Design, Tim Brown The designing for growth field book, Jeanne Liedtka, Tim Ogilvie, Rachel Brozenske
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